La vita ed i tabù di un laboratorio universitario
Oggi ti svelerò la vita ed i tabù di un laboratorio universitario quindi leggi fino in fondo soprattutto se ti stai affacciando per la prima volta a questo mondo
Sin da quando avevo 12 anni mi sono appassionata alla chimica così per caso durante la mia prima lezione di chimica alle scuole medie in cui si parlava delle componenti del dentifricio
Sì, si parlava proprio di quell’elemento il Fluoro e vidi per la prima volta quella che era la tavola periodica degli elementi
ce ne erano talmente tanti che rimasi a fissarla non so per quanto tempo
Avevo sempre sognato di indossare un camice bianco e di entrare in un laboratorio universitario, al solo pensiero ne ero entusiasta era quello che avrei sempre voluto fare
Decisi così di diplomarmi come Tecnico di Laboratorio Chimico-Biologico
la mia scelta non è stata poi così difficile avevo iniziato a girare per tutte le scuole per trovare qualcuna in cui si facesse chimica
tutti i miei compagni avevano deciso di prendere i vari licei ma ho sempre pensato che le scuole ti preparano un po’ su tutte le materie ma che finiti i cinque anni non mi avrebbero lasciato nulla dal punta di vista lavorativo
io volevo fare tanta pratica e passare tante ore in laboratorio, cosa me ne sarei mai fatta di un liceo dove le ore totali di chimica a settimana non erano più di 3/4?
Grazie a quella mia decisione conobbi uno dei professori migliori che abbia mai avuto
insegnava chimica analitica e organica
le sue lezioni erano un piacere allo stato puro, ci si divertiva e diceva sempre che stare in un laboratorio di chimica era come cucinare:
bisognava avere pazienza, essere precisi e seguire la ricetta alla perfezione
Trascorsero così i miei cinque anni e il rapporto con il mio professore si faceva sempre più forte
parlavamo di tutto dalla chimica alla politica agli scrittori greci e latini era un rapporto davvero molto profondo e diverso
Sì avrei preso chimica all’università
finché proprio quello che era fino a qualche giorno prima il mio guru in questa importante decisione
si ammalò di tumore alla tiroide
Lui stesso ci raccontava che gli era stato diagnosticato a causa dei tanti anni trascorsi in aziende farmaceutiche
tanti anni trascorsi a contatto con sostanze cancerogene manipolate senza le dovute accortezze e senza che qualcuno avesse mai preso in considerazione i reali rischi al quale venivano sottoposti i tecnici
Lui era divorziato aveva una figlia alla quale dedicava tutto il suo tempo e gli piaceva tantissimo viaggiare, ogni anno esplorava un posto diverso, era una persona davvero molto attiva ma, dopo quelle sue parole, decise di non insegnare più per un po’
e non lo vidi più…
Seppi qualche tempo dopo che stava bene ma ormai avevo deciso che non avrei preso più chimica che non avrei voluto rischiare la mia vita ma queste cose le tenni solo per me senza raccontare niente a nessuno
Prima di entrare nel laboratorio ti vengono dette, dai professori o dai responsabili del laboratorio quali sono le regole da seguire, come ti devi vestire, cosa non devi toccare
ti fanno studiare le etichette, tutta la vetreria come beute, cilindri, ampolle…
prima solo dal punto di vista teorico mediante libri e poi con esercitazioni pratiche direttamente in laboratorio ma qualcosa mancava all’appello
qualcosa che si trovava nel laboratorio ma che non veniva spiegato
Erano quelle strane strutture che qualcuno chiamava cappe da laboratorio universitario (con vetri e carrucole) disposte all’interno del laboratorio come fossero parte integrante dell’arredo
alla pari di un banco o un mobiletto
di quelle cappe nessuno parlava o tanto meno ne spiegava il loro utilizzo e proprio quelle cappe da laboratorio avevano portato il mio caro professore a quella terribile diagnosi
Mi erano rimasti talmente impresse le sue storie passate e le difficoltà che aveva dovuto superare
che per paura di quello che mi poteva succedere non presi chimica ma mi laureai in Biotecnologie
Ancora oggi mi pento di non aver seguito quelli che erano realmente i miei sogni a causa di queste paure cercando rifugio in qualcosa che sembrava molto più sicuro
ma ho sottovalutato moltissimo il rischio biologico che si può correre in un laboratorio
soprattutto se si lavora a stretto contatto con altre persone che non hanno una certa sensibilità
o in un ambiente disorganizzato e privo di regole e reale consapevolezza di come debba essere utilizzata nel modo corretto una cappa di sicurezza biologica – biohazard
Ricordo benissimo il mio tirocinio nel laboratorio universitario
avevo scelto di poter lavorare sia in ambito chimico che biologico , per poter scrivere quella che sarebbe poi stata la mia tesi di laurea il meccanismo di patogenicità del batterio enterico
Salmonella typhimurium.
Ero già entrata in un laboratorio universitario ed era da parecchio tempo che utilizzavo le cappe chimiche e le cappe biologiche
che di cappa avevano solo il nome
si perché gli odori delle sostanze chimiche che si utilizzavano all’interno delle cappe da laboratorio, non andavano mai via dal mio naso e continuavo a sentirle anche a fine lavoro
Il mio primo giorno ero lì precisa con il camice indossato e bene abbottonato mi è tornato alla mente il mio primo giorno di scuola alle elementari con il mio bel zainetto e grembiulino mentre stringevo forte le mani di mio padre e di mia madre
pronta a fare il mio ingresso nella scuola
forse una volta entrata nel laboratorio universitario mi sono accorta che ero l’unica ad indossare il camice abbottonato
faceva caldissimo ed i climatizzatori non erano presenti
ma le mie scarpe erano ben chiuse non volevo assolutamente che qualcosa mi potesse cadere sui piedi e farmi andare al pronto soccorso, fosse stata questa un semplice contenitore o una bottiglia contenente dell’acido
Poi sono stata affidata a una tutor ma neanche lei che mi doveva insegnare era in ordine, anzi aveva delle belle scarpe aperte con lo smalto in bella vista sulle unghie dei piedi
Ho pensato nella mia testa:
chissà cosa accadrebbe se gli gocciolasse una sostanza chimica sui piedi o qualcuno facesse cadere una ampolla di vetro vicino a lei?
Iniziò così una giornata di dubbi ed incertezze al quale seguivano domande (ma solo nella mia testa purtroppo):
come potevano le persone che lavoravano da tanti anni in laboratorio pensare che era quello il modo di comportarsi?
Che tipo di esempio stavano dando?
Presi coraggio e cercai di scacciare questi pensieri dalla mia testa di ragazza inesperta e piena di paure, in fondo ero appena arrivata e quelle persone sembravano esperte e sapere bene cosa fare
Durante queste mie considerazioni mi ritrovai in quella che veniva definita la camera sterile
lì avrei passato la maggior parte del mio tempo (almeno così pensavo) visto che mi sarei occupata di lavorare sul batterio enterico Salmonella
Per chi non lo conoscesse, il batterio enterico Salmonella typhimurium è:
“Il genere Salmonella è caratterizzato da bacilli Gram-negativi, asporigeni e anaerobi facoltativiFermentano il glucosio, producendo gas, degradano le proteine solforate con produzione di H2S, riducono i nitrati e non producono citocromo-ossidasi
I bacilli del genere Salmonella sono presenti nell’ambiente, nel suolo e nelle acque, e possono essere riscontrate come parassiti nell’intestino degli animali e dell’uomo (es. Salmonella typhimurium)”. Fonte ufficiale Wikipedia a questo link
Ma torniamo a quel mio primo giorno in laboratorio universitario
Mi ricordo il caldo impressionante che c’era anche nella della camera sterile era una BL2
i condizionatori accesi che non venivano controllati non so da quanto tempo con prefiltri che accumulavano batuffoli di pulviscolo e facevano uscire uno strano odore e tanta polvere nell’aria
Credo che la mia esclamazione sia stata:
OH MIO DIO!!! e quella la definivano camera sterile?
Vicino al condizionatore c’era la “cappa…”
definita da chi lavorava all’interno cappa biologica
Cominciai a fare domande su come si dovesse utilizzare questa benedetta cappa biologica per poter lavorare in sicurezza con il batterio enterico Salmonella
se c’erano delle precauzioni da prendere o altro che dovessi sapere e fu così che seguii il mio tutor, che mi fece vedere in modo pratico cosa avrei dovuto fare con la mia cappa
Prese la sua coltura cellulare e la mise sotto la cappa biologica e poi prese un pipet-aid, due pipette monouso e un contenitore per gli scarti
Una volta sistemato tutto sotto cappa biologica la accese e iniziò subito a lavorare serenamente con una certa autorevolezza insita a chi sa perfettamente cosa sta facendo
Mmmmm i dubbi mi assalivano
Quello che però mi sembrava un po’ strano era come si potesse mantenere un ambiente sterile, senza aver controllato prima se il piano di lavoro fosse stato pulito e disinfettato
Continuavo a chiedere a me stessa:
perché accendere solo all’ultimo secondo la cappa biologica con ormai tutte le cose, compresa la coltura cellulare, già al suo interno?
Continuavo ad essere dubbiosa della reale sterilità dell’ambiente di lavoro in cui stavamo per lavorare, mi preoccupai sul momento ma poi pensai che quella persona era lì per insegnarmi e io avrei solo dovuto fare tutto quello che vedevo, prendere appunti per poi ripeterlo successivamente quando era il mio turno
A quel giorno seguirono molti giorni di calcoli, di pesate per preparare i brodi di coltura
Salmonella non era l’unico batterio che veniva studiato in laboratorio, infatti mi sono trovata a manipolare batteri come Shigella flexneri
“La Shigella flexneri è un batterio appartenente al genere Shigella ed è classificato nel sottogruppo B, costituito da 6 sierotipi
Questo batterio si trova normalmente nelle fonti d’acqua dove sono presenti feci umane, e si trasmette usualmente tramite l’ingestione di acqua o cibo contaminati
Una volta ingerito il batterio si insinua nel tessuto epiteliale dell’intestino nel quale prolifera molto velocemente”. Fonte ufficiale Wikipedia a questo link
ma anche il batterio Escherichia coli
“L’Escherichia coli, abbreviato di solito all’interno degli analisi o nei testi specialistici come E.Coli
E’ un batterio gram-negativo. Sono almeno 171 i sierotipi
Ne esistono tantissime del tutto innocue e che vivono nel nostro intestino
Questi batteri infatti sono molto importanti per gli animali a sangue caldo, perché permettono di digerire bene il cibo”. Fonte ufficiale Inran a questo link
come dimenticare un altro batterio, Pseudomanas aeruginosa
“L’infezione da Pseudomonas aeruginosa è una tipica infezione nosocomiale, cioè nella
maggior parte dei casi si contrae in ospedale.
Pseudomonas aeruginosa è un batterio Gram-negativo, un patogeno opportunista che colpisce soprattutto persone con difese immunitarie o barriere fisiche (pelle o mucose) compromesseÈ il patogeno più spesso isolato in pazienti ricoverati da più di una settimana e uno dei microbi coinvolti dal fenomeno della resistenza a più antibiotici (multi-drug resistance)”
Fonte ufficiale Humanitas a questo link
All’università, mi sono trovata ad utilizzare delle Piastre Petri
Se non ne hai mai sentito parlare ti spiego brevemente cosa è una piastra petri:
“La piastra di Petri o capsula di Petri è un recipiente piatto di vetro o plastica,
solitamente di forma cilindrica; è un importante strumento di lavoro in molti campi della biologia, per la crescita di colture cellulari”
Fonte ufficiale Wikipedia a questo link
Avevo già utilizzato le piastre petri alle scuole superiori e mi ero sempre occupata di piastramento cellulare
cosa che facevo con un becco bunsen vicino a me non di certo sotto una cappa a flusso laminare sterile
Ma pensavo che in un laboratorio universitario sarebbe andata in modo diverso, che avrei utilizzato le tanto aspettate cappe biologiche finalmente
Passata una settimana nella quale i mie appunti stavano diventando un libro capace di far impallidire anche J. K. Rowling, l’autrice del romanzo fantasy più famoso sulla faccia della terra
intitolato “HARRY POTTER”
Tornai in laboratorio e come prima cosa mi preparai il mio brodo di coltura che avrei usato successivamente per le in piastre petri
Cominciai a pesare le varie componenti e misi il tutto a bollire sotto un’altra tipologia di cappa
definita in seguito dalla mia tutor cappa chimica
ma questa sembrava più che altro un campo di battaglia e non una cappa chimica
all’interno di questa cappa da chimica c’erano:
- un becco bunsen
- un vortex
- diversi contenitori con sostanze chimiche di chissà quale tipo
- delle pipette
- un porta provette
- addirittura una bilancia per non farsi mancare proprio nulla
insomma quella era la cappa chimica che avrei dovuto utilizzare?
Che poi in realtà non ero neanche sicurissima che fosse proprio una cappa chimica ma così almeno mi è sempre stato detto e non ci ho pensato più di tanto
Sprezzante del pericolo e forte dei miei appunti presi le piastre petri nella loro confezione che le manteneva in una condizione di sterilità e mi avviai verso la camera sterile
Quel giorno avrei dovuto fare finalmente una semina microbica ma venni subito bloccata dagli altri ricercatori del laboratorio universitario
Per la prima volta ho compreso come doveva sentirsi un quarterback che lanciato verso la meta veniva intercettato da un difensore e atterrato brutalmente
In quel momento ho scoperto che la semina non l’avrei mai fatta sotto la cappa biologica
ma di nuovo attaccata ad un becco bunsen su un bancone del laboratorio universitario
Manco fossi tornata alle superiori
Ma una torta non è tale senza la ciliegina giusto?
E allora vicino al mio becco bunsen avevo anche una finestra del laboratorio aperta e almeno quattro persone che passavano avanti e indietro e che spesso stazionavano vicino al mio banco di lavoro
insomma per farla breve, su quelle piastre non era solo presente Salmonella ma anche un miliardo di altri batteri, alterando il risultato delle mie analisi
In pratica la stessa cosa che mi era già successa in passato ma si parlava di svariati anni prima
Quando tornavo a casa, passavo molto tempo a pensare quanto fosse frustrante tutto questo, che sicuramente c’era qualcosa che non capivo e che non funzionava come avrebbe dovuto
Un laboratorio doveva essere qualcosa di diverso, non quello!
Il giorno dopo decisi a tutti i costi di lavorare con la cappa biologica
dovevo creare un ambiente che fosse il più sterile possibile e iniziai dando una ripulita alle superfici interne della mia cappa a flusso laminare
Presi quello che avevo a disposizione: dell’alcool etilico con un pezzo di Scottex e cominciai a pulire il pianale interno della cappa biologica
Ricordo che il pianale della mia cappa era costituito da tanti piccoli forellini e che da quel pezzo di carta utilizzato per pulire uscì di tutto e di più ma anche che non riuscivo a pulire a fondo ogni forellino
In seguito passai a pulire il sotto pianale della mia cappa biohazard che sembrava più un quadro di jackson pollock
Accesi finalmente la cappa di sicurezza biologica e passati 15/20 minuti mi misi i guanti e cominciai prima a portare le piastre petri con il terreno di coltura già pronto al loro interno
poi le mie punte con le rispettive pipette per la semina e infine un contenitore dove avrei poi gettato le punte sporche da me usate e le mie colonie batteriche contenute in apposite provette
Tutto era pronto
Forte del fatto che avevo osservato per bene chi lavorava con la cappa e mi ero annotata quali fossero gli errori e quali le cose buone da fare cominciai a lavorare
Il contenitore per le punte usate si trovava all’interno della cappa biologica alla mia destra e tutto il resto che doveva rimanere e mantenere la sua sterilità alla mia sinistra
misi il primo paio di guanti e per maggiore sicurezza decisi di usare anche un doppio guanto
ma sottovalutai la mia inesperienza e iniziai a lavorare sotto cappa biologica con il mio bell’orologio al polso in bella vista in modo da poter controllare l’orario del lavoro
Non sapevo minimamente che avere l’orologio al polso in realtà potesse essere un’abitudine negativa quando si doveva utilizzare una cappa biologica
e che questo avrebbe potuto compromettere la famosa sterilità che cercavo in ogni modo di preservare
Io mi prendo le mie responsabilità ma in fondo era quello che facevano tutti sin dal primo giorno che ero entrata in laboratorio universitario
Stappai la mia prima provetta, stando attenta a non appoggiare il tappo sulla superficie della cappa biologica, mantenendola in obliquo rispetto al flusso laminare verticale sterile generato dal filtro Hepa sopra il pianale e cominciando a prelevare per poi seminare sulla piastra petri
Davanti a me c’era un vetro che mi separava dall’interno e le mie braccia non toccavano in alcun modo il piano di lavoro
il mio camice era ben chiuso e i polsini abbottonati, i capelli tirati su e legati
Insomma tutto il contrario di quello che invece facevano gli altri intorno a me e che facevano da sempre
Ricordo che la cappa biologica era molto rumorosa, quello lo ricordo bene e gli odori rimanevano lì a pochi cm da me
Non ricordo quel giorno quante volte ripetei la stessa operazione, avevo molte concentrazioni di batterio differenti e questo significa fare molti piastramenti
Terminato il tutto misi le piastre petri nel termostato a 37 gradi, risistemai la cappa biologica affinché chi venisse dopo di me potesse trovare un’ambiente pulito
tolsi tutto il materiale al suo interno, ripassai di nuovo l’alcool e aspettai qualche minuto per far sì che potesse evaporare il tutto e la chiusi, cosa che gli altri non facevano praticamente mai
Quella cappa biologica veniva usata non so da quanti laboratori universitari e quindi da quanti studenti dell’università
ognuno lavorava a modo suo
- C’era chi la lasciava sporca
- chi non la puliva neanche prima di lavorare
- chi lasciava cose all’interno
- chi lasciava la carta o il pianale con le provette
- e c’era anche chi non si preoccupava minimamente di mettersi il camice o i guanti
Ritenevano che se dovevano fare un lavoro di pochi minuti era meglio sbrigarsi sottovalutando i rischi biologici che ne potevano scaturire
Irrispettosi di chi doveva lavorare dopo di loro che avrebbe potuto trovarsi la cappa biologica completamente contaminata dagli indumenti stessi o dalla pelle delle braccia e mani per il mancato utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI)
Una delle cose che ho imparato è che in un laboratorio non dovrebbe esistere il termine sbrigarsi
ma esiste solo la precisione, l’organizzazione e il sapere lavorare nel giusto modo
Il laboratorio non è una gara a chi fa più cose nel minor tempo possibile
Solo adesso so di molti errori che si possono commettere lavorando sotto una cappa da laboratorio, cappa biologica o cappa chimica che sia
ma questa è solo una piccola parte perché le mie esperienze proseguono, ho sempre pensato che lavorare sotto cappa fosse una cosa facile e che non richiedesse nessuna competenza o esperienza specifica
purtroppo mi sbagliavo
Oggi mi formo ed informo ed ho anche scoperto che la “cappa biologica” definita così praticamente da tutti e anche da me erroneamente
In realtà era una “cappa di sicurezza Biologica” una cappa biohazard
Facendo dei corsi sulle cappe, leggendo e studiando il libro del Dr. Cirillo “Apocalisse Zombie”
ho anche scoperto l’enorme differenza che c’è tra cappe
biologiche e cappe di sicurezza biologica – biohazard
Ho capito che cosa sono i dispositivi di protezione collettiva e che le semplici cappe biologiche non ne fanno parte minimamente come ne fanno parte le cappe biohazard e le cappe chimiche
Ho scoperto che dietro al mondo delle cappe da laboratorio c’è un vero e proprio mondo tutto da scoprire che approfondirò e sviscererò al fine di divenire un vero tecnico da laboratorio ma soprattutto un esempio per gli altri cercando di non far compiere tutti questi errori che io stessa ho compiuto perché non correttamente istruita da chi mi doveva insegnare
PS qualcuno si starà domandando:
ma il risultato della semina sotto la pseudo cappa sterile?
Meglio del primo tentativo su un bancone qualunque in mezzo al laboratorio universitario con mille persone che ti passavano avanti e indietro attaccata ad un becco bunsen
ma per chi come me lavora con ceppi di Salmonella sa perfettamente quanto questa sia imprevedibile…
Un saluto a presto
Sara Goffi