Farmaci chemioterapici e sostanze di laboratorio. Attenti a quei due!
I rischi dietro l’angolo senza il giusto utilizzo delle cappe da laboratorio e DPI
Tanto tempo fa, lavoravo anche io in un laboratorio e ho vissuto in prima persona i rischi di inalare sostanze chimiche nocive o di ustionarmi la pelle.
Ricordo ancora quando con il quaderno degli appunti seguivo il docente che mi mostrava i vari strumenti che avrei dovuto imparare a usare per i miei esperimenti di biologia: le cappe chimiche, le cappe biologiche, le centrifughe, il microscopio.
Ero emozionatissima e non stavo nella pelle fin quando mi accorsi che era proprio la mia pelle ad essere a rischio, e ora vi spiego il perché: una delle prime cose che si impara a fare quando si entra in un laboratorio di ricerca oltre che imparare ad accendere la cappa chimica è capire come maneggiare i campioni cellulari, come fare una Pcr, o decifrare le immagini ottenute al microscopio.
Così come diluire o preparare i farmaci chemioterapici nel modo giusto è uno dei primi passi per chi entra a lavorare nel mondo sanitario.
Si sfornano professionisti altamente preparati sulla teoria e la pratica, ma c’è un grande paradosso su cui prestare attenzione: la salute degli operatori, spesso a rischio in chi ha a che fare con prodotti e sostanze tossiche, come formaldeide, metanolo, formammide, e alcuni farmaci chemioterapici, tanto per citarne alcuni.
Si tratta di materiali indispensabili nei laboratori di ricerca universitari (per molti esperimenti di biologia e biomedicina) o negli ambulatori ospedalieri (per preparare alcune terapie antitumorali da somministrare ai pazienti oncologici): il metanolo, ad esempio, è una sostanza utilizzata per il western blot, un’analisi che consente di studiare analizzare le proteine presenti nei campioni cellulari di interesse.
La formammide, invece, si usa ad esempio per alcune tecniche di ibridazione in situ, utili per andare a osservare l’espressione e la localizzazione di determinate molecole all’interno delle cellule.
Ma con quanta attenzione si manipolano queste sostanze?
Purtroppo questo aspetto, al quale andrebbe data la massima priorità, finisce per essere preso sottogamba, e i prodotti non usati con le giuste precauzioni, anche se appunto pericolosi per la salute umana.
Un interessante lavoro pubblicato di recente sull’Oncology Nursing Forum ha fatto il punto sul tema, nella speranza di trovare una soluzione per porre fine a questa ‘negligenza’: diapositive, contenuti audio e video, promemoria sono solo alcune delle strategie testate per portare l’attenzione di chi ogni giorno manipola prodotti tossici, come i farmaci chemioterapici, sul giusto equipaggiamento per lavorare in sicurezza, ma la strada per far fronte a questo problema è ancora lunga e impervia.
Intanto proveremo a far chiarezza su alcuni pericoli e sulle buone pratiche da mettere in campo.
Il primo passo è dedicare qualche minuto del proprio tempo a leggere l’etichetta presente sul prodotto e la scheda di dati di sicurezza (Safety Data Sheet, SDS), cioè la “carta d’identità” delle sostanze chimiche dove è possibile trovare le informazioni sulle loro proprietà, da quelle fisico-chimiche a quelle tossicologiche: qui è contenuto praticamente tutto quello di cui si ha bisogno per maneggiare con cura le sostanze pericolose e armarsi di tutte le precauzioni per non correre rischi inutili.
L’abc per lavorare in sicurezza
Le informazioni più intuibili fra tutte sono i simboli di rischio chimico, anche detti pittogrammi di pericolo.
Per come sono rappresentati (bordo rosso acceso, sfondo bianco e simbolo nero al centro) ricordano un po’ i segnali stradali, ma in questo caso ci dicono come utilizzare in sicurezza il prodotto chimico in questione.
Ecco le classi di pericolo rappresentate da questi simboli:
- Pericolo fisico (se il prodotto è infiammabile, o corrosivo, ad esempio), descritto dai seguenti pittogrammi con sotto i rispettivi “codici identificativi”:
- Pericolo per la salute umana (se il prodotto è tossico, irritante, ecc):
- Pericoloso per l’ambiente (se il prodotto non deve essere disperso nell’ambiente):
Oltre ai simboli, sull’etichetta o sulle schede di sicurezza, sia dei prodotti chimici da laboratorio sia dei farmaci chemioterapici, vengono riportate anche due altre tipologie di informazione, fondamentali per la sicurezza dell’operatore: le indicazioni di pericolo (hazard statements), che indicano in poche parole che tipo di danno comporta l’utilizzo della sostanza in questione, e le indicazioni sul tipo di precauzioni da prendere (precautionary statements).
In tutti e due i casi si tratta di codici alfanumerici costituiti da una lettera (H per le indicazioni di pericolo e P per indicazioni sul tipo di precazioni), seguita da tre numeri, come per esempio H226, P201.
Ora, imparare il significato di tutti i codici disponibili non è un gioco da ragazzi, ma certamente sapere in linea generale a cosa si riferiscono può essere di estremo aiuto:
- ad esempio, per capire se il prodotto può essere pericoloso per la salute (poi ovviamente si può andare a cercare il significato più stretto del codice) è utile sapere che il primo numero dopo la lettera H è sempre il 3 (ad esempio H350);
- i codici che indicano un pericolo fisico iniziano invece con il numero 2 (ad esempio H220);
- in caso di pericolo per l’ambiente troveremo come primo numero il 4 (ad esempio H400).
Lo stesso discorso si può fare per le indicazioni sulle precauzioni, accennate qualche riga fa: il codice alfanumerico, come abbiamo visto, inizia con la lettera P, seguita da tre numeri (ad esempio P280).
Anche in questo caso, il primo numero ci dice in linea generale che tipo di consiglio seguire:
- il 2 indica tutto ciò che ha a che fare con la prevenzione (ad esempio se leggiamo P262, si dovrebbe evitare il contatto del prodotto con occhi, pelle e indumenti o ancora P263, consiglia di evitare il contatto durante la gravidanza e l’allattamento);
- Se invece il primo numero del codice è il 3, viene descritto cosa fare o non fare dopo essere venuti a contatto con il prodotto;
- il numero 4 è per la giusta conservazione del prodotto;
- il numero 5 ha a che fare con l’adeguato smaltimento del prodotto.
Conoscere la pericolosità della sostanza con la quale si ha a che fare, sia che si tratti di farmaci chemioterapici o di prodotti chimici per la ricerca, diventa fondamentale per essere consapevoli dei rischi che si potrebbero correre senza le opportune strategie preventive, tanto quanto conoscere il principio di funzionamento e corretto utilizzo di una cappa chimica:
secondo diversi studi la manipolazione di alcuni prodotti, ad esempio quella di alcuni farmaci chemioterapici, paradossalmente salvavita per molti pazienti, può portare a lungo andare a dei danni alla salute del personale, che si ritrova esposto a un maggior rischio di sperimentare:
- problemi legati alla fertilità;
- l’insorgenza di alcuni tumori;
- problemi respiratori;
- problemi cutanei.
Le minacce per la salute
Molte delle sostanze utilizzate in questi ambienti di lavoro, così come nei laboratori di ricerca, vengono infatti classificate come potenzialmente cancerogene (cioè che possono provocare il cancro, come ad esempio la paraformaldeide, una sostanza utilizzata per fissare i campioni cellulari nei laboratori di biologia), mutagene (che potrebbero aumentare la frequenza di mutazioni, come ad esempio il bromuro di etidio, un colorante degli acidi nucleici molto utilizzato nel passato, ma sempre più surclassato da altri tipi di coloranti più sicuri) e/o teratogene (cioè tossiche per la riproduzione, come ad esempio la formamide, di cui abbiamo parlato all’inizio).
Si tratta di minacce invisibili per la salute, in parte documentate sull’uomo, in parte soltanto su campioni cellulari o su animali, ma per le quali è bene non abbassare troppo la guardia.
Come possiamo ridurre i rischi?
Facciamo un esempio pratico:
per gli operatori che ogni giorno si occupano della preparazione o della manipolazione di farmaci chemioterapici antiblastici – prodotti citotossici potenzialmente cancerogeni, con possibili effetti negativi sulla riproduzione, oltre che con possibili effetti irritativi e allergici nei soggetti esposti professionalmente – il rischio di esposizione accidentale (l’inalazione o il diretto contatto attraverso la cute) è dietro l’angolo.
L’utilizzo di guanti, camice, protezione per gli occhi e in particolar modo quello di cappe chimiche aspiranti dovrebbe essere l’abc per la corretta e sicura manipolazione di queste sostanze: per ogni prodotto andrebbe verificato il kit di dispositivi di protezione individuale (DPI) da utilizzare e il tipo di cappa chimica o cappa biologica adeguato.
Ad esempio, nel caso degli antiblastici, dei farmaci chemioterapici, andrebbero utilizzati doppi guanti, specialmente per i farmaci irritanti/vescicanti, non talcati in lattice (per non favorire l’assorbimento cutaneo), camici monouso in tessuto non tessuto (TNT) e non di stoffa, a maniche lunghe con polsino a manicotto di elastico o maglia, in modo tale che i guanti aderiscano sopra il camice stesso (come viene consigliato in questo link).
Senza mai dimenticare di lavorare sotto la cappa chimica o biologica apposita: in questo caso il tipo di protezione collettiva adeguato è la cappa Biohazard a flusso laminare di classe II tipo H, cioè una cappa Biohazard a flusso laminare verticale caratterizzata da filtri Hepa, ma diversa da quelle di uso comune.
A differenza di quelle non H, questa ha un sistema di filtrazione aggiuntivo: oltre al filtro Hepa principale (che genera il flusso verticale e sterile sul piano di lavoro) e al filtro di espulsione (per la parte di ricircolo dell’aria), c’è questo sistema di filtrazione in più, chiamato in gergo Cyto.
Si tratta di uno o più filtri Hepa disposti sotto il pianale di lavoro, che consente di evitare che le sostanze manipolate vadano nel vano motore della cappa, rischiando di contaminarla.
Questa cappa è normata secondo le DIN12980 tedesche e garantisce i tre stadi di protezione:
- Protezione dell’operatore;
- Protezione del prodotto;
- Protezione dell’ambiente.
Puoi approfondire questo argomento direttamente a questo link:
Ciao e buon lavoro